Intervista a cura di Luca Balzarotti Liti tra col eghi. Manager che faticano a relazionarsi con la forza lavoro.
Case che si trasformano in polveriere. Maria Martel o, formatrice al a mediazione per la risoluzione dei conflitti secondo il model o umanistico-filosofico di cui è ideatrice, li raccoglie sotto un’unica categoria: «i micro-conflitti» spiega l’ex giudice onorario presso il tribunale per i minorenni e la Corte d’Appel o di Milano, mediatore a Monza e autrice tra gli altri dei volumi “La formazione del mediatore“ (Utet) e “Mediatore di successo“
(Giuffrè). «Con lo scenario che stiamo vivendo a causa del coronavirus aumenteranno: non saranno “degni“ di diventare contenziosi e di finire davanti a un giudice ma avvelenano la nostra vita».
Qualche esempio recente?
«Due col eghe. La loro relazione si manteneva nel canale del a buona educazione. Ma tra loro c’era un non detto che rendeva il rapporto in-sopportabile. Ho assistito al a mediazione secondo il model o filosofico-umanistico e sono riuscite da ascoltarsi. La mediazione ha come primo sco-po questo: ascoltandosi hanno capito di essere semplicemente diverse tra loro. L’hanno accettato come risorsa».
È diffuso il ricorso al a mediazione?
«Dobbiamo distinguere: c’è una mediazione obbligata introdotta nel 2011
come passo necessario prima di arrivare davanti al giudice. E quel a vo-lontaria: in questo caso è una scelta di due attori che hanno capito quanto sia importante bonificare una relazione prima di risolvere l’oggetto del a lite. Al ’interno del ’ambito familiare è entrata nel a mentalità comune: non mi riferisco solo ai casi di separazione o a partner che si lasciano e vo-gliono riuscire a rimanere genitori verso i loro figli, ma anche a situazioni di successione ereditaria. Dove prima del a quantificazione del bene viene analizzata la componente affettiva, come un figlio ha vissuto il proprio ruolo».
Cosa si aspetta dopo due mesi di chiusura per coronavirus?
«Viviamo un momento in cui una catastrofe ha messo in discussione tutto e ci ha privato di sicurezze fondamentali. Questa esperienza ci fa vedere l’altro come un pericolo, un possibile untore. Per l’uomo è una situazione contro la propria natura di essere in relazione: ogni giorno ci viene ricor-dato che il giorno dopo potremmo non esserci. Che tra quel numero di vittime che si aggiorna domani potrei esserci io: è uno choc».
Come è stato affrontato il trauma?
«Non dandogli un nome, riempiendoci di slogan come “andrà tutto bene”.
Tante parole banali e basta senza che prima venisse riconosciuto lo choc: abbiamo vissuto sessanta giorni in apnea. In questi giorni di apparente ri-torno a una pseudo-normalità assistiamo a rabbia, nevrosi e nervosismi».
Le premesse per un incremento di nuovi conflitti…
«Sì. Dobbiamo cogliere l’occasione per capire i benefici del a mediazione e investire nel a formazione. Mentre il giudice decide al posto del e parti, il mediatore, secondo il model o filosofico-umanistico, punta a risolvere il problema che c’è nel a relazione dei due contendenti e che sfocia in un oggetto.
A chi la consiglia?
«Ai manager a ogni livel o per prevenire conflitti sul lavoro e agli studenti universitari, indipendentemente dalla facoltà».