quello che eravamo ?
Mentre noi stiamo male la natura sembra stare meglio, l’inquinamento migliora, gli animali si riprendono il territorio.
Dovrebbe interessarci sopra ogni cosa nascere di nuovo e far rinascere di nuovo la realtà intorno, le relazioni, gli stili di vita: ma anche i mari, gli animali, le piante. Il pianeta.
Riprenderci la creatività, sacrificata all’altare dell’omologazione: non si può restare nelle vecchie visioni, se vogliamo riscattare un passato che forse in fondo non ci stava bene.
Dovremmo essere abbastanza saturi e nauseati dalla stucchevole nostal-gia di ciò che in questi giorni è stato vietato.
Chiediamoci: prima c’era? Che tipo di rapporti avevamo?
Proviamo a fare un raffronto tra ciò di cui in questo periodo si lamenta la mancanza e ciò che in passato era la normalità del nostro vivere.
Lamentiamo la mancanza dell’abbraccio. Bene, prima del coronavirus ho tenuto degli stage per educare al valore dell’abbraccio, che significa abbandonarsi all’altro, fidarsi di lui, lasciarsi accogliere ed accogliere.
I più si accontentavano di formali abbracci, di gesti sterili e senza significato.
La mia richiesta sembrava violasse un loro divieto interiorizzato, infran-gesse l’inibizione cristallizzata del contatto col corpo.
Nei corsisti frequente era l’imbarazzo iniziale. A volte perfino la voglia di sottrarsi. Pensate, mi trovavo a dire che non dovevano sciogliere l’abbraccio prima che io lo autorizzassi. Ma, lentamente, sperimentavano le modalità che facevano emergere il vero valore dell’abbraccio.
Ci manca la socialità. Eravamo un tutt’uno con rapporti liquidi, per citare il sociologo Zygmunt Bauman, l’altro era trasparente a noi e così noi a lui, al di là di retoriche parvenze di cortesie e falsi interessamenti.
I rapporti erano molto connotati come di potere e di interesse, di opportunismo mascherato da attenzione, di disinteresse camuffato da amicizia.
Oltre ogni livello di accettabilità.
Non avevamo mai né tempo né luogo, sempre di corsa, sempre altrove. Eppure tutti abbiamo letto Il piccolo principe: “Gli uomini non hanno più tempo per conoscere nulla. Comprano dai mercati le cose già fatte. Ma siccome non esistono mercati di amici, gli uomini non hanno più amici. Se tu vuoi un amico addomesticami”.
Squalificavamo la scuola! Ora la didattica è virtuale, e forse anche più divertente. Prima in presenza erano virtuali i rapporti. C’era uno sguardo circolare che collegava docenti tra loro e questi con gli allievi e le loro famiglie? E tutti insieme nei confronti dell’ente locale e della so-cietà? Quante solitudini, quanti isolamenti atroci nell’affollamento delle scuole, quanti emarginati, quanti bullizzati…
Ci rammarichiamo ora che non possiamo guardarci in fac-cia perché abbiamo la mascherina. Ma prima quante maschere facevano da schermo tra me e l’altro, impedendoci l’incontro da cuore a cuore? Quante volte pur di fronte l’uno all’altro non riuscivamo a reggere lo sguardo diretto?
Anche su questo ho ideato e proposto dei giochi psicologici, imbaraz-zanti prima e liberatori poi.
Nei laboratori di formazione, tenuti ad adulti di ogni fascia d’età e di ogni livello professionale, molti corsisti sembravano inesorabilmente e ineluttabilmente ingabbiati, congelati nel proprio status senza alcun canale comunicante, o meglio senza un vero e profondo canale di comunicazione…
Sembra che il coronavirus ci abbia tolto ciò che non avevamo la com-petenza di vivere, che non sapevamo onorare. A cui non dedicavamo la dovuta attenzione. Che vivevamo con insignificanza e superficialità.
Forse col distanziamento abbiamo sperimentato cose prima inimmaginabili.
Primo. Possiamo stare lontani dal lavoro. Che lavorare è importante e bello. Che dal lavoro non dipende il nostro senso del vivere.
Secondo. Che nel vuoto di impegni preordinati ci può essere lo spazio fertile per la creatività. Possiamo aver scoperto passioni e attitudini mai prima immaginate.
Terzo. Per chi vive da solo, stare in isolamento è una via per capire che non è necessario impazzire e “parlare col frigorifero…ma è un tipo freddo, meglio col forno che però è una testa calda”.
Ma è un modo per comprendere che isolamento non è solitudine, il pri-mo rimanda a chiusura, il secondo all’introspezione creativa.
Quarto. Per chi vive in coppia può essere stata l’occasione di soppesare la solidità dell’intesa, la capacità di tenere la giusta distanza con l’altro, di aprirsi all’intimità che non è mai identificazione fusionale.
O l’amarezza di riscontrare continue incomprensioni, distanze, conflitti e incapacità a sanarli.
Quinto. Per tutti è apparso un dato evidente: la quantità di spese di cui si riesce a fare a meno e che prima erano causa delle nostre fughe for-sennate a fare shopping. Così come anche la patetica fuga nel weekend.
Tutti indizi utili per ritornare rinati nella fase 3 e nelle successive.
Come rinascere, non lo so. Forse nessuno può saperlo perché non può saperlo una persona sola. Possiamo saperlo, possiamo immaginarlo se ci mettiamo insieme, possiamo immaginarlo se condividiamo in più persone (gli scienziati ci stanno dimostrando che se c’è una possibilità di sconfiggere il virus, di trovare la cura, di scoprire il vaccino è mettendo in comune studi, dati e ipotesi).
Possiamo realizzare un nuovo futuro se siamo creativi e pazienti in un lavoro profondo basato sulla valorizzazione della diversità. Se evi-tiamo la banalizzazione di attendere, di agognare l’eterno ritorno di qualcosa di già visto e trovato malato. Se vogliamo fare un salto verso un domani davvero altro dal passato e così trasformare la comunità umana.
Per tutto ciò occorre avere visus, cioè visione di un futuro più degno di essere vissuto.