Covid19

RipartiAmo


17 maggio 2020

SECONDA SERIE

Oltre all’emergenza sanitaria ed economica c’è quella PERSONALE, di noi donne e uomini veri.

Pubblicheremo, giorno dopo giorno, degli articoli che ci possano accompagnare in questa nuova fase, delicata e preziosa. La difesa è d’obbligo: incominciamo quindi a sanare le ferite emotive causate dal soqquadro del nostro tempo.

Esploreremo alcune vie per l’igiene emotiva, utili ad elaborare e superare la paura che stiamo vivendo per ritornare alla vita attiva più forti e carichi di prima. È urgente che il capitale umano sviluppi la sua creatività per dare alla ricostruzione il migliore apporto.

E allora RIPARTIAMO, convinti come L. Pasteur, che lottò contro le malattie infettive: “Gravi sofferenze danno vita a grandi filosofie e a grandi azioni”.

E se perdessimo la sfida del cambiamento?

Puoi forse tu, astrologo, dirigere in altro modo i miei astri’? Non dirigerli, posso soltanto leggerli. Dirigerli lo puoi solo tu” (H. Hesse, L’ultima estate dl Klingsor).

Per mesi abbiamo attraversato stanze, umori, paure e desideri. Mesi in cui non abbiamo potuto andare fuori ma abbiamo potuto andare dentro e scoprire un nuovo inizio.

Pare però che per alcuni non sia così.

Un giovane e attivo manager così si confessa: “Questa lunga quarantena mi ha destabilizzato non poco. Mi ha fatto perdere i miei ritmi oltre che il lavoro. Adesso ricollocarsi è quasi impossibile. Sono molto preoccupato”. Altri invece non vogliano uscire di casa. Si sta delineando una sorta di “sindrome da capanna”?

Quali le ragioni?

Hanno scoperto quanto la casa protegga?

O sono solo rigorosissimi nell’evitare il contagio fisico?

O la pigrizia ha preso il sopravvento?

O forse no: più realisticamente rifuggono dal confronto con gli altri perché si percepiscono vulnerabili dentro?

Molti in quarantena si sono scoperti perfetti sconosciuti a se stessi e si sono terrorizzati. Non sono stati supportati nell’elaborazione di queste emozioni e, smarriti, non ne vengono fuori: non escono neanche fisicamente.

Si sentono fragili nell’affrontare l’esterno.

Proviamo qui a guardare con occhi nuovi i vecchi problemi per trovare le chiavi per uscire di casa.

Abbiamo un coronavirus che resiste. Anche gli scienziati, che lo stanno studiando, hanno resistito a lungo, ne abbiamo sentite tante: sicurezze argomentate poi smentite dalle evidenze.

Non arrabbiamoci più con loro chiedendo certezze. Apprendiamo da loro la lezione: non ci sono certezze, mai.

Evitiamo chi pontifica e si pone come il portatore di verità assolute.

Ora i ricercatori dicono, senza sussiego, che vanno a tentoni, che si tratta di un virus che stanno imparando a conoscere, che devono osservare l’andamento ed agire passo passo. Una obbligata umiltà? O realismo?

Loro sono impegnati ore ed ore a ricercare, studiano, procedono.

Così noi per ricomporre il nostro equilibrio.

Il dato ora è che usciamo dalla fase 2 non perché qualcosa si è risolto ma perché non possiamo non entrare nella fase 3.

Apprendiamo da loro un metodo per come procedere noi, nell’ambito di nostra pertinenza.

Prendiamoli ad esempio per quanto riguarda l’“emergenza umana”.

Come degli scienziati, lasciamo cadere le certezze e i pensieri che guidavano le nostre azioni prima del virus, ma dobbiamo non lasciare cadere il nostro senso di responsabilità. Non dobbiamo pensare che siccome i problemi che dobbiamo affrontare sono troppo complessi e difficili, noi cadiamo nell’impotenza, nella delega, nel pensiero magico: qualcuno ci salverà!

Più che mai ora è necessario non perdere la consapevolezza che ognuno di noi è fondamentale per uscire sia dalla fase 1 che da quelle che verranno, sempre non facili né semplici.

Non significa quindi solo obbedire ai decreti del governo, oltretutto si tratta di un dovere civico a cui tutti dobbiamo attenerci. Si tratta di vedere cosa noi possiamo fare.

Noi cosa stiamo facendo di serio sul piano umano?

L’imprevisto, ha messo a soqquadro la nostra vita. L’organizzazione delle giornate. Le abitudini. Le relazioni. Ma soprattutto i nostri vissuti e le nostre convinzioni. Ha creato una ferita profonda.

Voglio ben sperare che l’attuale catastrofe abbia causato un trauma, pur vissuto con equilibrio, altrimenti significherebbe che qualcuno è stato così difeso o superficiale da non farsi scalfire. In questo caso, sì che è certo, usciremo da questa fatica (che sarà un’occasione persa, inutile) più banali, vuoti ed insignificanti.

In questi mesi tutto è saltato. La sicurezza nella tecnologia, nella competenza che tiene sotto controllo, la libertà di autodeterminazione dei propri spostamenti e degli incontri, i privilegi legati ai ruoli sociali, economici, politici e religiosi. Siamo consapevoli del rischio di contagio in ogni momento e in ogni giorno. Che il futuro che ci si prospetta non è tracciato.

Uscirne cambiati, magari in meglio, ricomposti, non è una conseguenza automatica, dipende da un forte impegno individuale, da una decisione ad aprire un dialogo serrato, serio e costruttivo con se stessi.

Richiede lo stesso ritmo e la stessa fatica che si ha quando si impara uno strumento musicale, quando lo si suona amatorialmente o addirittura professionalmente.

Certo questo processo può essere favorito e supportato, accompagnato.

Da soli può essere possibile ma può risultare difficile se non si dispone già di una pregressa abitudine e coltivazione di sé, di allenamento, di buon equilibrio psico-affettivo e di autostima personale.

Noi in questi appuntamenti giornalieri lo avviamo e lo promuoviamo.

Vorremmo altresì che il Governo non trascurasse il dovuto sostegno e la promozione di tale lavoro perché è su di esso che si fonda la vera uscita dall’emergenza: il volano è il benessere del capitale umano, delle human resources.

Anche le organizzazioni religiose e spirituali possono collaborare con il Governo mettendo a disposizione le loro forze e le guide di cui dispongono per la costruzione e la ricostruzione dell’essere umano ferito. O meglio più che guide, accompagnatori qualificati nell’arte dell’ascolto e della empatia.

Il termine “guida” infatti fa pensare che si sappia già quale debba essere il percorso ed anche il punto di arrivo. Noi effettivamente non riusciamo a priori ad immaginare quale possa essere.

Per ora riusciamo ad immaginarci che il rischio di perdere la sfida del cambiamento è dietro l’angolo e che presto potremmo essere fagocitati delle vecchie abitudini.