Di silenzio in parola:

l’umanità sospesa

del coronavirus

Giorni tragici, giorni magici. Da dimenticare ma anche da ricordare per le lezioni che lasciano: storie che insegnano ad iniziarne una radicalmente nuova.

Ripensando al periodo trascorso mi vien da dire: non so, non capisco ma registro il dono inatteso di una tragedia: il lockdown mi ha legittimata a immergermi nella solitudine.

Inizia così una inaspettata scoperta di tanto.

Mi sono permessa di non smarrirmi dentro il limite delle spiegazioni.

Ho fermato il pensiero e sono sprofondata nell’ascolto dove ho trovato melodie inedite. Ma anche partiture che non mi sono affini: il frastuono del disordine sociale, della preoccupazione e del dolore. Ho guardato ad ogni cosa con curiosa delicatezza e ho colto che era più di quel che appariva.

Ho sperimentato la dolcezza di ascoltarmi, di assecondarmi, di rispondere ai miei bisogni. Di fare poco ma con tanto significato: un gesto sentito, un piatto antico e preparato a mio gusto, una lettura al momento debito, un collegamento internet per nuovi e vecchi cenacoli spirituali e filosofici.

Tanto silenzio. Tanta libertà da vincoli, doveri, pensieri, diktat interio-rizzati. Solo rispetto dei miei tempi e dei miei ritmi, dei miei gusti. Finalmente!

Per 60 giorni non ho incontrato nessuno, sentito pochi. Uscita mai.

All’improvviso, nei primi giorni di questa assoluta novità, mi muove il bisogno di rimettermi al servizio di quanti stavano affrontando l’emergenza, l’isolamento, la paura. Dopo anni di ritrosia, ritorna prorompente la voglia di scrivere sul tempo presente. Di fatto un modo per abitare la mia paura ed una risorsa importante per dare un senso alle giornate.

Una utile via per sanare il “dentro” ed andare oltre per incontrare il “fuori”. La scrittura così è stata fonte di pienezza. Ho provato gioia nel vedere nascere questi pezzi dal mio cuore e nell’immaginare quei “dieci” lettori sconosciuti che avrebbero condiviso i miei spunti di riflessione, i miei suggerimenti, qualche incoraggiamento. Mi sono dedicata con tutta me stessa per preparare ogni articolo, leggerlo e correggerlo, accorciarlo ed allungarlo in base al numero di battute che l’editore ri-chiedeva, per inviarli agli amici e ai conoscenti, per leggere i loro commenti e a volte discuterli.

Mi è sembrato doveroso raccoglierli e farli durare oltre il tempo di un quotidiano. Penso infatti che valga la pena ricordarci di ciò che abbiamo vissuto: per me toccante, scioccante e ristrutturante.

La rilettura di questi scritti, sgorgati dall’emergenza, può essere un facile modo per ancorarci ai propositi che sono affiorati da quei vissuti per farli diventare consapevolezze stabili. Dimenticarci sarebbe facile. Un triste spreco di una opportunità di crescita.

Colgo ora l’occasione della stampa di questa raccolta per rendere parte-cipi gli amici di alcuni significati che il lockdown ha avuto per me.

Mai come in questa quarantena sono stata in compagnia. Di me stessa e virtualmente di tutti quelli chiusi in casa come me. Ma anche degli amici che chiedevano notizie.

E soprattutto in compagnia dei miei sentimenti: ne ho assaporati di ogni intensità e colore.

Ho avuto bisogno di esprimere la mia paura della morte, del contagio, della malattia.

Ho trovato mio fratello Piero con cui avere un appuntamento serale. Prezioso ed intimo, seppur di poche e spigolose parole.

Ho avuto bisogno di buttar fuori la mia angoscia quando l’assordante silenzio, continuamente interrotto dalle sirene dell’ambulanza e dai “bollettini di contagiati e di morti”, la faceva crescere oltre ogni contenimento.

Ho trovato Giovanna Granito che mi consentiva di prendermela con tutti gli esperti: il suo attento e affettuoso ascolto era liberatorio!

Ho avuto bisogno di qualcuno che mi assicurasse il cibo e le medicine.

Ho trovato Allegra e Laura, due volontarie carissime.

Ho avuto bisogno di esorcizzare il terrore con l’ilarità.

Ho trovato Anna e Massimo, Gianvittorio, Giada…, che con il loro sottile umorismo hanno giocato con me.

Ho avuto bisogno di fare una ricerca iconografica a corredo degli articoli.

Ho trovato Daniela Porta che mi ha soverchiato di proposte tutte sorprendenti.

Ho avuto bisogno e ho sperimentato l’inversione di ruoli.

Romina Rotondo da allieva è diventata mia maestra e mio riferimento.

Ho avuto bisogno di un riscontro su quel che pubblicavo.

Mi è stato offerto un ricco bouquet di referees improvvisati che mi hanno fatto bene. Ho raccolto tutti i loro messaggi e i loro commenti e li terrò tra i ricordi cari.

Ho avuto bisogno di un pigmalione

Ancora una volta ho ritrovato mio fratello Piero.

Ho avuto tanto da chi non me lo aspettavo e che ricordo nel mio cuore. Sono certa che altro ho ricevuto e non l’ho saputo raccogliere.
A tutti va la mia gratitudine.

Ho dato tutta me stessa a chi non so, a chi non conosco.
A chi ha voluto leggere e ha gradito gli articoli.

Casagrande&Recalcati, iperpetal(s), 2018, oil on canvas, 140x220cm 7